Eco-capitalismo: pregi, difetti e problematiche
Servizio comunicazione istituzionale
L’ecologia nel campo economico, che si potrebbe definire “eco-capitalismo”, è di moda, ma pone anche problemi di carattere tecnico, finanziario e di equità sociale. Barbara Antonioli Mantegazzini, Professoressa titolare alla Facoltà di scienze economiche dell’Università della Svizzera italiana (USI) e vicedirettrice dell'Istituto di ricerche economiche (IRE), ne ha parlato in un’intervista pubblicata sulle pagine del Corriere del Ticino, spiegando gli aspetti principali della tematica, così come le potenzialità e le conseguenze per il nostro futuro.
In una sua recente intervista rilasciata al quotidiano Corriere del Ticino, la Professoressa Barbara Antonioli Mantegazzini ha trattato il tema delle interazioni tra l’economia e l’ecologia. La premessa da cui partire è che il nostro sistema economico-industriale non è stato concepito per raggiungere obiettivi ambientali, bensì per massimizzare la produzione e i consumi (e, quindi, il benessere). Occorre quindi una profonda ristrutturazione delle sue logiche di funzionamento per incorporare le tematiche ecologiche e ambientali.
Bisogna dunque comprendere se questi nuovi obiettivi siano compatibili con la crescita del Prodotto interno lordo (PIL) e se potranno essere perseguiti mantenendo gli attuali livelli di confort, anche economico. Come afferma la Professoressa Antonioli Mantegazzini, questa tematica - seppur di stretta attualità - è in realtà studiata da molti anni. Per il momento, e nel breve periodo, una maggior produzione equivale, ceteris paribus, a un maggior inquinamento. “Per questo è importante favorire l’innovazione tecnologica così come i processi di miglioramento dell’efficienza, agevolando una “crescita verde”, ragionata e sostenibile, che incorpori il valore della natura senza pregiudicare il benessere raggiunto”. In questo processo di revisione vi saranno però delle imprese e dei settori ai quali saranno richiesti dei cambiamenti radicali (si pensi per esempio alle acciaierie); sarà quindi importante assicurare misure di tutela per i lavoratori e i cittadini più coinvolti.
Se questi cambiamenti radicali ci preoccupano, è importante rammentare che anche una mancata azione per cercare di contrastare il cambiamento climatico (ignorando quindi gli obiettivi ecologici) può risultare assai costosa in termini di PIL. Secondo un recente studio dell’ETH di Zurigo, infatti, un aumento di 3 gradi centigradi del riscaldamento globale, con le relative conseguenze ambientali, porterebbe a una riduzione del 10% del PIL globale. “Al contempo, anche la conservazione della situazione attuale richiederebbe comunque investimenti: la Confederazione stima un aggravio di costi nell’ordine del 10% per lo scenario Zero Netto (rispetto al mantenimento dello status quo), probabilmente meno di quanto si potrebbe pensare” commenta Barbara Antonioli Mantegazzini.
A livello politico sono già stati stabiliti degli obiettivi ambiziosi; la strategia per il clima mira a raggiungere emissioni nette pari a zero entro il 2050, ma occorre tener presente che il loro realismo varia in funzione della credibilità delle politiche e dal complesso delle azioni che vengono realizzate per il raggiungimento degli stessi. Secondo uno studio recente (pubblicato su Nature Climate Change) lo Zero Netto è fattibile, ma la sfida risiede proprio nell’adozione delle politiche conseguenti. Obiettivi ambiziosi richiedono infatti cambiamenti importanti. “Chiaramente, proprio perché questa accelerazione non è tanto frutto di una normale evoluzione tecnologica ed economica quanto di una necessità di 'riparare' un ambiente già ampiamente compromesso, gli ostacoli sono molti. In primis i costi, così come anche l’accettazione, soprattutto da parte dei cittadini interessati, di sollecitazioni o imposizioni in termini di comportamenti”. Inoltre, è necessario prevedere anche le possibili ricadute positive e negative sul tessuto economico, produttivo e sociale.
Alcuni esperti mettono però in guardia sul rischio che il cosiddetto eco-capitalismo sia “fatto su misura” per le classi dirigenti, e che possa provocare un inasprimento delle disparità all’interno della popolazione e fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo. Secondo la Professoressa Antonioli Mantegazzini le disparità economiche attuali sono già molto marcate, bisogna pertanto evitare un aggravarsi della situazione. “Proprio per questo motivo è importante ribadire che, sebbene la transizione energetica e la lotta al cambiamento climatico comportino costi significativi per le generazioni presenti, non intraprendere questa strada potrebbe ampliare ulteriormente le disuguaglianze”. Dunque, non investire nella transizione energetica non permette di proteggersi dalle diseguaglianze, bensì rischia di aumentarle. “Si tratta quindi di trovare (anche) i giusti meccanismi per la ripartizione degli oneri e la tutela dei più deboli. Occorre rendere concreta la 'Just Transition', cioè il meccanismo in base al quale si favorisce la transizione energetica senza che nessuno sia lasciato indietro” conclude Barbara Antonioli Mantegazzini.